L'ILLUSIONISTA (L'ILLUSIONISTE) |
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di Sylvain Chomet, lungometraggio d'animazione da una sceneggiatura di Jacques Tati
(Francia, 2010)
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Ricordate la prodigiosa immaginazione di LES TRIPLETTES DE BELLEVILE, il primo film di Sylvain Chomet, l'originalità dell'allucinazione grafica, l'umorismo del nonsenso surreale, la riflessione e poesia straniante? E i suoi riferimenti cinefili, quelli grafici, coreografici e musicali: un piccolo prodigio memorabile, che il cineasta francese riesce miracolosamente a replicare. Ma non solo: andando a scovare una sceneggiatura inedita di Jacques Tati del 1955, ricreandola a uso e consumo del proprio disegno animato, sommando al mitico universo estetico e poetico del grande comico la propria concezione postmoderna dell'animazione (il ritorno al disegno piatto del 2D in epoca delle alchimie ormai abusate del 3D computerizzato), riesce un'operazione quasi sfrontata e di estrema originalità. Non solo lo spasso di un'osservazione sempre irresistibile, non solo l'omaggio al mondo cosi particolare di MONSIEUR HULOT; ma un viaggio autonomo, satirico e quasi filosofico, divertito, ma tenero e melanconico. Che finisce per riferirsi, certo, all'inimitabile dimensione artistica di Jacques Tati: ma che ricorda tutte le poetiche nelle quali la risata ha saputo farsi riflessione, prima fra tutte quella di Chaplin. E se il film racconta di un maturo e ovviamente imbranato illusionista francese, costretto a trasferirsi fino in Scozia per esibirsi nel precariato delle sale semi-deserte dei vecchi music-hall, del suo incontro fra i musicisti del pub con la servetta che condurrà fra le chimere luccicanti di Edimburgo, il tono che conta è quello che Tati avrebbe adorato. La crudeltà del tempo che sgretola il capitale di conoscenze dei brav'uomini di buona volontà; la diffidenza, e i rischi dello scoramento, quando il modernismo mostra i suoi lati più caduchi e derisori. Se la prima parte del film è magistrale nella sua corrosiva, tragicomica introspezione (indimenticabile il protagonista che attende per ore dietro le quinte del teatro, riprovando all'infinito i propri trucchi; mentre sul palco rotolano i chitarristi rock, davanti al pubblico di teenager che non si rassegna alla loro partenza), la sceneggiatura che segue magari langue un pochino, quasi rispecchiasse il disincanto che invade i personaggi. Ma la ricchezza sfrenata degli sfondi (il film andrebbe rivisto, tanti sono i dettagli che arrischiano di sfuggire), il cesello del tratto, la raffinatezza delle luci, la precisione esaltante dell'ambientazione, la dinamica contemporanea delle musiche alimentano infinitamente l'intelligenza e la grazia indimenticabile del film.
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Il film in Internet (Google)
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